l’Armenia è una (pen)isola
Armenia: il nome del paese rimanda subito alle vicende bibliche di Noè ed alla storia dell’arca fermatasi sul monte Ararat. L’Ararat è una montagna simbolo per il popolo armeno, tanto da diventare un brand usato ed abusato in una miriade di settori merceologici destinati in particolare ai turisti. La vetta perennemente innevata, la si vede dalla capitale Yerevan e pure a parecchi chilometri di distanza. E’ la montagna sacra per eccellenza di tutti gli armeni che per salirla, sono costretti ad andare in Georgia, passare la frontiera con la Turchia e infine concordare la salita con il popolo curdo che abita e controlla quel territorio.
La frontiera tra la Turchia e l’Armenia è chiusa da anni, nessuno può passare via terra da un territorio all’altro e il monte Ararat sta di là, oltre la frontiera. La terra di nessuno che costituisce una fascia di confine larga più o meno un chilometro, oltre al consueto filo spinato e alle garitte, gode di uno status particolare: è coltivata. Coltivata da quella gente di confine che, in accordo con le forze militari -soldati armeni e russi-, ne trae prodotti agricoli eccellenti, grazie anche alla fertilità della terra bagnata dal fiume che costituisce il confine naturale.
Anche la frontiera con l’Azerbaigian è chiusa, pure qui per questioni politiche legate principalmente alla contesa del Nagorno Karabakh. Nessuna strada collega le due nazioni e se sul passaporto c’è il visto armeno, non sarà possibile poi visitare il paese azero. La strada verso la frontiera per lunghi chilometri è “protetta” da un muro di terra costruito ai tempi della guerra tra i due paesi: proteggeva i viaggiatori dai cecchini postati sulle montagne soprastanti. Quelle montagne sono ancora presidiate, non da cecchini, ma dall’esercito Armeno che secondo un calcolo molto veloce, è la nazione con la percentuale maggiore di militari al mondo.
Verso l’Iran la frontiera pare sia aperta: arrivano da lì veicoli con targhe “sconosciute”e mai viste?
I rapporti commerciali sono quindi quasi esclusivamente verso nord, con la Georgia e legati ad un cordone ombelicale con la Russia.
L’Armenia è appunto una penisola.
Guidare con prudenza
Altro aspetto che colpisce subito, è la carenza di buone strade. Eccetto la capitale e poche altre arterie principali, le strade sono abbastanza sconnesse, seppur asfaltate e spesso presentano veri e propri crateri da evitare. La manutenzione stradale -un tempo garantita dal sistema sovietico- si fa sentire ed è bene viaggiare su auto con pianale abbastanza alto. I mezzi più diffusi sono vecchie auto di origine russa: la Lada 2101 -chiara derivazione della Fiat 124- è il modello in assoluto più diffuso.
Poi ci sono i camion russi, vecchi di almeno 40 anni che sulle salite arrancano e si fermano spesso per raffreddare il motore: ma non cedono mai. In prevalenza sono di colore azzurro, come andava di moda da noi negli anni settanta.
I mezzi non più funzionanti sono abbandonati lungo le strade, nei campi, a volte utilizzati come armature nella costruzione di muri. Le strade, come in tutte le aree montuose, sono molto tortuose. Il sorpasso in curva è abbastanza diffuso e funziona bene anche la regola del mezzo più grande: pare abbia sempre precedenza…
Sulle strade non c’è traccia né di biciclette, né di mezzi a tre ruote.
Si incontrano di tanto in tanto, mandrie di animali al pascolo e file di persone sedute all’ombra di un noce o di un ombrellone: vendono prevalentemente albicocche, vero e proprio frutto nazionale. In altre zone sono numerosi i venditori di miele o di distillato di albicocche: bottiglie in plastica riciclate o fiaschi in vetro sono i contenitori convenzionali.
L’arte dello scrivere e il colore del melograno
la visita al Matenadaran – Museo degli antichi manoscritti- è d’obbligo per iniziare a capire qualcosa di più di questo popolo millenario. L’edificio di carattere monumentale è stato costruito appositamente in stile armeno: così è definito lo stile architettonico dai locali, anche se sarebbe più corretto utilizzare il termine neoarmeno. Bastano poche ore per capire che armeno non è solo il nome della lingua o del residente, bensì è un modo di pensare e di confrontarsi con il mondo. Un modo di esistere.
L’edificio in ambito culturale che più ho apprezzato è sicuramente la biblioteca del complesso monastico di Goshavank (Tavush), costruita a partire dal XII secolo e diventato subito un importante centro educativo e culturale. Colpisce per la dimensione in pianta ridotta e per lo slancio degli elementi voltati tra i pilastri che disegnano le nicchie d’angolo: una riduzione della volta diventa un arco a sesto acuto, richiamando per certi versi allo stile gotico.
Rivedere “Il colore del melograno” dopo aver visto i luoghi cari al regista Parajanov, ha tutt’altro effetto: rimandi alla scena dei libri che si sfogliano asciugando al vento ed ordinati in una prospettiva disegnata dalle pareti del monastero; o agli uomini che entrano nei buchi nel pavimento realizzati per nascondere e salvare i preziosi manoscritti del monastero di Haghpatavank.
Ricamo su pietra
la scultura come componente decorativa degli edifici e delle lapidi, rimanda al ricamo più che al bassorilievo; semplici figure geometriche sono riccamente forate, presentando dettagli definibili ricami.
I monasteri e i luoghi di culto
l’Armenia è sinonimo di monasteri di antica origine: la Chiesa apostolica armena, è la chiesa nazionale più antica della cristianità e una delle prime comunità; dal 301 è la religione di Stato. Il punto di divisione con le altre chiese risale al concilio di Calcedonia del 451, dove il tema centrale fu il monofisismo. Ciò che colpisce di questi luoghi sacri, almeno quelli visitati, è il ripetersi di uno stile che rimane quasi inalterato per diversi secoli. L’impianto generale, l’uso della pietra squadrata (tufo e pietre laviche in genere), le cupole, sono elementi che compongono uno stile sobrio ed elegante. I monasteri presentano quasi sempre un nartece come accesso allo spazio sacro, avente anche la funzione di luogo d’incontro e di commercio. Questo spazio, diversamente dalla chiesa, era accessibile anche ai non battezzati ed alle persone di altre fedi.
l’Aragats è la cima più alta dell’Armenia, di poco superiore ai 4000 metri. La vetta nord, la più elevata è quella della foto, vista dalla cima meridionale (almeno credo). Non è una montagna frequentata, proprio no, anche se potenzialmente si presterebbe, anche per la presenza di numerosi uccelli rapaci, ad uno “sfruttamento” ecosostenibile. La strada -è quasi un eufemismo- arriva fino a 3200 metri, circondata da accampamenti di allevatori; sui sassi, poco distanti dai recinti degli animali, è facile scorgere qualche aquila: penso che sia un animale che vive in simbiosi con gli allevatori, cibandosi degli scarti della macellazione. Il giorno che con il gruppo SAT di Arco siamo saliti alla cima meridionale, eravamo accompagnati da una troupe della tv nazionale: giravano un documentario per pubblicizzare la frequentazione di questo posto. Non fate impianti di risalita, per favore!
gli occhi dei bambini armeni non sono azzurri
Le persone incontrate, pur cogliendo diversità somatiche tra le varie regioni, hanno cappelli neri ed occhi scuri. Due soli bambini ho visto con gli occhi azzurri: quello delle caramelle ed il figlio di un immigrato. Sono ancora forti le relazioni con la Russia; la gente comune dice che sotto l’Unione Sovietica…si stava meglio. Il socialismo ha lasciato palazzoni/dormitori che si stanno sgretolando ed un’infinità di fabbriche e poli industriali completamente abbandonati a se stessi.
I VOLTI DELL’ARMENIA e l’italico ORGOGLIO
Un signore mi sente parlare e mi chiede: Italiano? Si appoggia a due stampelle in attesa di salire su un pulmino e guardandolo me lo immagino come un ex combattente ferito in guerra. Si, rispondo io. E mi dice: -Adriano Celentano-! Poi una pausa e medita. Ecco, dico tra me e me, ci siamo. Un altro fans del molleggiato; vedrai che poi citerà Albano, Totò Cotugno, Romina Power, i Ricchi e Poveri che qui sono tutti delle vere e proprie icone! Poi medita e riprende: -Silvana Mangano, … Riso Amaro, … Alberto Sordi, … Vittorio de Sica, … Fellini, … squadra azzurra!
Si, per una volta, almeno per una volta, mi sono sentito orgoglioso del mio Paese; che poi sia stato per qualcosa di passato, non importa!
vedi altre immagini cliccando qui…